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Tag: racconti

UN’ ECCESSIVA CONFIDENZA

by Alessio

– Dannata chiave! A che serve farne una universale per tutte le torrette, se poi devo sempre spaccare la serratura per arrivare ai doppini, mi chiedo! – Parte delle parole che in realtà furono pronunciate da Amlicare Riedis, tecnico specializzato in elettronica e non solo, anche se avessi deciso di riferirle, non credo avreste potuto comprenderle leggendole nel dialetto stretto in cui furono pronunciate.

Ciò nonostante sono sicuro che il concetto tradotto, sia un ottimo compromesso tra verità e buongusto. Un omone della sua stazza, che che ne dica lui, era il tipo perfetto per un lavoro che spesso richiedeva l’ esercizio delle proprie capacità all’ aperto, spesso soggetti alle intemperie e nel suo caso anche alle bestemmie. Ad Amilcare le imprecazioni gli scivolavano via dalla lingua con uno stile ed eleganza che neanche una suora novella le avrebbe giudicate poi così fuori luogo. Se si aggiungono poi le difficoltà che quella chiave gli stava procurando e le gocce che perlavano il suo viso di quella pioggerella che solo il vento è capace di rendere ancor più fastidiosa, ben comprenderete le parole che pronunciò subito dopo, sicuro che anche la suddetta suora in quella situazione non si sarebbe espressa poi così diversamente:

– Dio mi è testimone, tornassi a rinascere farei il prete! Bevo mangio e sparo immani cazzate sulla fratellanza, l’amore e su Gesù Cristo, che se mi vedesse ora scenderebbe dalla croce e con la madonna mi darebbe una mano con questa maiala di chiave…mannaggia ai suoi miracoli! Proprio di questo avrei bisogno ora, un miracolo!

Forzando finalmente l’apertura della torretta elettrica, si compiacque del moccolo – Vedi che servono le bestemmie? Io ci credo a Dio, per questo ci parlo schietto! – Pensava tra se e se. Conoscendo l’importanza di un lavoro celere e pulito, si era subito avviato a cercare  la soluzione all’interruzione della linea telefonica. In più la sua pazienza venne messa a dura prova quando un bambino gli si avvicinò tutto bagnato tirandogli la giacca sudicia.

– Cosa stai facendo?-. Ad Amiclare il personaggio del gigante buono ma burbero gli si cuciva addosso a pennello, solo che spesso la seconda caratteristica facilmente ombrava la prima. Così, mantenendo lo sguardo sul quadro elettrico, disse – Lasciami in pace ragazzino, non vedi che ho da fare? – tentando con forza di separare uno spinotto.

– Posso aiutarti? Ho costruito un trenino tutto mio, sai? Di quelli che camminano veramente, cosa pensi! Tiro giù una leva e si mette a correre come un missile, vedessi! Il mio papà fa il ferroviere, aveva una borsa come la tua, solo che la tua puzza di più.
– Ecco…potrei fare anche il ferroviere nella prossima vita. Dannati tutti i santi del purgatorio! – Disse lottando aspramente con quello spinotto che non voleva saperne neanche di dondolare, figurarsi a staccarsi!

– Parli come mio papà! Che vi hanno fatto i santi a voi due? Non lo sai che Gesù Bambino piange ogni volta che lo tiriamo giù dal cielo? – disse con una vocina flebile e sicura, di almeno tre ottave più acuta rispetto a quella di Amilcare che, continuando ad accanirsi sul quadro elettrico rispose – Se così fosse…mh..Gesù Bambino ha vissuto più anni su questa dannata terra ad asciugarsi le lacrime che su nei cieli a godersi il bel tempo,…mh…per quante volte l’ho tirato giù io, porca di quella miseria!

– Non si dice così. Il diavolo ti metterà il fuoco in bocca stanotte, sai che male? Io non le dico mai le parolacce, e anche quando ogni tanto mio padre si arrabbia e ne spara una, io mi chiudo subito le orecchie con le mani e inizio a cantare una canzone. Una qualsiasi!

– Perché rimani qui allora? Non hai da giocare coi tuoi trenini a casa? Non vedi che ho da fare? Non si scherza con queste cose.

– Lo sai che da grande voglio fare il costruttore di treni? Ma non quelli piccoli, per giocarci. Quella è roba da bimbi, ci so già fare. Quelli grandi, sai? Una volta ne ho preso uno per andare da mia zia, vedessi che ruote giganti che hanno! Ne voglio fare uno ancora più grande, così posso fare invidia a tutti i miei amici. Chissà quanti fili grandi come questo servono per farne funzionare uno vero!

Vorrei saper imprecare come Amilcare per spiegarvi ciò che accadde. Anni di servizio, di accortezze e sicurezza, non gli diedero la prontezza necessaria per fermare la manina di quel ragazzino dal volto ancora anonimo per lui. Quando lo sentì appoggiarsi alla sua spalla per indicare il cavo della sua curiosità, tutto quello che appena prima del lampo riuscì a dire fu un ultimo canchero -“Cristo No!!”- . Poi le leggi dell’elettromagnetismo sui corpi conduttori, fecero il resto.

Dietro a un semplice pronome personale ripetuto con cadenza regolare da una qualsiasi cornetta telefonica, pochi, se non nessuno, si chiedono quanto sia mai complicato far si che quel suono si presenti puntuale e senza sorprese ad ogni alzata di cornetta, in qualsiasi momento del giorno, per qualunque persona di qualsiasi appartamento, di qualsivoglia condominio. Ma quella sera, i telefoni di mezza città rimasero muti e sordi, in attonito e raccolto silenzio. La notizia sulla causa del disservizio avrebbe svegliato la gente solo il giorno dopo.

– Perchè non mi hai chiamato subito a te, Dio c’è s’ano! Un bel filo scoperto, e la finivamo lì! A quest’ora staremmo a giocare a briscola insieme e a pisciare da lassù in testa al padre di quel ragazzino disgraziato che mi ha fatto saltare tutti i fusibili del quadro elettrico! E invece mi è toccato cambiarli uno ad uno, madonna per madonna, santo per santo, che ne ho dovuti inventare di nuovi perchè non mi bastava il calendario! Ma vedessi come l’ho fatto correre a suon di sberle quel bamboccio.

Quel burbero fradicio e puzzolente di Amilcare, invocò all’aria il suo vecchio conoscente, una volta entrato finalmente in casa in piena notte, rendendo alla moglie più arduo il compito di calmarlo e asciugarlo. Ci mise un’ora buona per addolcirlo e consolarlo come solo lei sapeva fare. Credo che iniziò con la scusa di levargli da dosso i vestiti umidi, o qualcosa di simile. In fondo era un buono, nonostante la sua discutibile confidenza con Dio.

 Alessio

NEL TEMPO DI UN PISOLINO, UN SOL

by Alessio

Il giovane Martin si strofinò il viso con la mano sinistra, dopo essersi gettato a peso morto sulla poltroncina che gli pareva cucita addosso. Nella destra teneva il violino e l’archetto, si strinse gli occhi tra le dite sbuffando con le labbra carnose e dopo fissò lo sguardo sul fuoco del camino che illuminava la scrivania. Riusciva a distinguere il profilo del calamaio e del raccoglitore che aveva lasciato aperto, sperando che qualche idea ci si posasse sopra come una mosca e rimanesse imprigionata tra le righe dello spartito.

Rimase sul divano tenendo su la testa con la mano appoggiandosi al bracciolo. Gli occhi seguivano il danzare ipnotico delle lingue di fuoco e si lasciò leccare da ricordi tanto dolci e cullanti da farlo cadere in un tepore che gli disegnò un leggero sorriso sul viso, rimanendo in equilibrio in quella posizione probabilmente molto scomoda, ma che non riuscì a vincere la stanchezza del ragazzo.

“Sshhh…si è addormentato! Ti ho visto sai?! Come lo squadravi!!”“Oh, andiamo! Ma lo hai visto come fa uscire la punta della lingua dalle labbra socchiuse quando si concentra?! E’ così carino!”.

Il Sol sembrava diventato un diesis dalla rabbia, fissando la chiave di violino e puntandoci contro con fare minaccioso. Erano distanti solo una battuta, così le note nel mezzo cercarono di trattenerlo, mentre la Chiave gli faceva le boccacce per farlo imbestialire ancora di più. “Dai calmati, non fare così su!”“Ma la senti?!!?- disse– lo fa apposta!! Mi vuole ammazzare dalla gelosia!”. Era un bel Sol di petto, e tutte le semicrome e le biscrome della battuta riuscivano a malapena a rallentarlo.

Lo bloccò alle spalle un La con la coda, sussurrandogli “Smettila, e poi non dirmi che non ti avevo avvisato! Ha troppe curve per uno spartito tutte righe e punti! Ma tu sei il solito romanticone e ci sei cascato.” – Quelle parole lo sedarono in un momento, ma rimase a fissare la Chiave. Tutta avvinghiata a quelle righe, i suoi fianchi larghi e tondi, sfiorati dal solo movimento sensuale della mano di Martin e della punta della sua penna. Era il primo sol, il più vicino a lei, e questo gli dava a suo dire il diritto di farle una spietata corte, cosa che ormai continuava da settimane.

Le altre note tornarono al loro posto bisbigliando tra loro, alcune ancora tremanti dello scampato pericolo. Il Sol in effetti non godeva di un ottima fama in quell’operetta. Era più marcato rispetto alle altre note, complice un pennino troppo bagnato nel calamaio, e uno starnuto di Martin al momento di fargli la gambetta. C’erano alcune note con caratteristiche simili più in basso che soffrivano per la loro imprecisione, facendo della propria insicurezza una vergogna, ma lui no! Testardo, quasi vanitoso, si era incaponito che prima o poi avrebbe trovato un modo per fare sua la Chiave che tanto si divertiva a stuzzicarlo, ma che veniva sempre salvata da quella manciata di note a sua guardia.

Cominciò ad andare su e giù nella sua battuta sul pentagramma, scostando di forza le altre note, le quali, anche se spazientite, non trovavano il coraggio di far valere il proprio diritto alla pace in quella fredda notte. Poi si fermò di scatto, quasi folgorato, al centro. I suoi coinquilini si guardarono tra di loro preoccupati, sicuri di un imminente scatto d’ira. I secondi sembravano ore, il Sol ancora li. Le altre note fecero per scostarsi, quando lo videro all’improvviso fare un salto, un altro e poi un altro ancora.

Raggiunse la quinta riga e come un equilibrista passò alla successiva battuta. Continuò fino alla fine del rigo. Tornò indietro pochi centimetri prendendo la rincorsa,  saltò alla pagina a fronte rimanendo in perfetto equilibrio e continuò ad avanzare arrivando a fine rigo. Lì si fermò e scese alla sua posizione di Sol, facendosi spazio tra le altre. “Dai, non fare così, torna qui! Non te la prendere, e se se ne accorge Martin?!”  gli dissero le altre note che in fin dei conti gli volevano bene -“Uhhh, si è offeso il bel Sol! Cos’ è? Hai gettato la spugna?! uhhh” – disse lei deridendolo.

Il violino scivolò di mano al ragazzo ancora addormentato che si svegliò di scatto per quel suono scordato e sgraziato. Guardò il pendolo sul muro, raccolse lo strumento e si mise in piedi. Con gli occhi socchiusi si diresse incerto verso la scrivania sbadigliando, appoggiando lo strumento su di una sedia. Diede un ultima occhiata allo spartito, prese tra l’indice e il pollice l’angolo inferiore destro del raccoglitore al fine di chiuderlo su se stesso. A quel punto le note accanto alla Chiave, videro la pagina a fronte piegarsi dall’alto, distinguendo il Sol che aveva ora un ghigno tale da renderlo quasi ovale. Precipitava sicuro e fiero addosso l’oggetto dei suoi desideri, con tutta la soddisfazione e il turgido ardore proprio di un amante, sicuro del fatto che il pesante abbraccio non sarebbe stato interrotto per tutta la durata della notte.

Le note, mentre la pagina era ormai quasi completamente chiusa, riuscirono a intravedere la Chiave, che distratta dalla sua vanità ancora non aveva realizzato l’ingegnoso piano del suo cocciuto spasimante, che riuscì prima del buio completo a sussurrare ormai prossimo al suo incosciente amore “Cosa mi dicevi, cara?!”

Alessio